Qui a Bari, una spanna d’Autunno

Trovammo l’eccitazione sotto un ponte.
Veniva dal Largo Due Giugno, ma ora cedeva il fiato all’ingrosso.

Tra vecchi mercanti ci si capisce
ed è meglio morire di sifilide che poveri

Così i marciapiedi alzarono la guardia
e concessero ai tombini di diventare tetti

Il ’68? Non passa da qui e nemmeno il controllore
Se chiedi però a una bottiglia sa dirti l’acqua che incendia

In tazzine da un metro quadro si affacciarono nuvole.
Perché poco più di un piatto e non un avvocato come unità di misura?

A Bari si accoppiano scarpe dopo una causa in tribunale.

Il metro, il secondo, il Kg? Passati per le armi
Un colombo sale sulla femmina davanti a Iustitia

La candela, la mole(cos’è?), l’ampere, il kelvin
Lavorano al Circo su Via Napoli.

La letteratura lamenta un ruolo improvviso
una postilla almeno da cancelliere o predellino.

Unità secondarie a noi!

All’ alba di un giorno autunnale sfilare davanti a Crollalanza
Solo carne o solo scheletro che non c’è pane per entrambi.

MATRIX

Lorca cantava tempi forse  più duri di questi.

Troppe ore attaccati ai PC, da farsi saltare le pupille e cadere in un mondo di iperconnessione 24 h su 24, non portano ottimismo, ma vediamo.

Fondamentalmente il mio intento non è né pessimistico né ottimistico. L’ontologia che cerco e su cui posare i piedi equivale a escludere la validità delle leggi fisiche. Le leggi fisiche o chimiche o in generale quelle che riguardano il nostro approccio alla natura non possono essere oggetto di poesia, a meno di raccontare l’universo con la forza della matematica che però è intrappolata nelle sue equazioni e dunque non può raccontarci quello che non è.

Alla fine genereranno il Dio dell’immanenza che le ha create. Forse però abbiamo dimenticato l’inconscio dell’universo, il lato che sogna e con esso la grande rimozione di cose che ha dovuto sopportare. Troppo facile arguire che in questo momento stiano venendo a galla certi rospi che le abbiamo fatto  digerire, come i transuranici che non si era proposto di tirare in ballo per non impressionarci troppo o la polverina nera sospesa nella più pura atmosfera del sistema solare.

Nella mia fumettistica  c’è anche Matrix.

Pillola blu o rossa?

La sera, nel mio dormiveglia mi tocca scegliere. Talvolta sbaglio e mi ritrovo al buio tra catene di impegni del giorno dopo, sopraggiunge il rumore delle cremagliere, delle catene di montaggio del lavoro anche quello intellettuale e di ricerca.

Mi perdo in esse come Charlot, uscendone a pezzi in preda a follia convincendomi che avrei fatto bene a ingoiare l’ altra pillola. Altre volte sbaglio di mattina e allora mi ruotano attorno visioni di gechi enormi e agavi mangiatrici di auto. Il traffico intero si lascia ingoiare dalla bocca di una rotatoria, quella di un carcere sotterraneo che diventa il mio stesso lavoro.

Vedo parrocchetti destinati ad un potere sempre più grande, a fare forse un salto di qualità e prendersi quello dei nostri politicanti.

Chi è che beve il mio caffè alle quattordici di un giorno feriale, al bar dell’angolo su una via importante di Bari vicina alla sua Università? Me lo chiedo guardandomi in uno specchio di argento liquido da cui non riesco a staccare il viso.

Il pessimismo che tu vedi viene fuori da questa frustrazione di scegliere in maniera indecisa, cronicizzatosi in scelte a metà tra realtà e finzione che dunque offrono con una mano felicità e l’ annullano con l’altra. Il tempo in questo modo incespica nei progetti, ha uno strano modo di fingere realtà.

È il suo stallo nei cieli del senso.

Mi abita il sospetto di vivere in una irrealtà feconda di seppie giganti, una produzione continua di altre realtà che si succedono con la furia dell’inconscio tra le pagine bianche di un libro chiuso alla pag 87.

Mi abita una strana voglia di non dire affatto, negare alla parola l’accesso al significato, confonderle il contesto e quindi ucciderla.

Sì, è questo l’intento ultimo. Perché nessuna parola è degna di vivere una vita di significato in una narrazione edificante, di rapporto a una verità che si nasconde dietro la parola verità ma funzionale alla funzionalità fine a sé stessa.

E qui scompaiono gli abiti, i lacci delle sillabe, si perde l’ anello tra una parola e l’altra.

Quando scompare una parola non è il vuoto a subentrare, ma il terrore di un meccanismo di creazione inceppato, un danno al meccanismo stesso del pensiero, una interruzione permanente nel lancio di dadi.

Quale allora la pillola giusta?

Se la poesia assomiglia più a un nascondere che a una relazione scientifica non è per mia colpa.

Molti altri hanno lavorato per darle un aspetto migliore di quella che esce dalle mie mani, coprendola di sante denunce, di bellezza sublime e significati divini, di godibilissimi poemi da cui trarre ristoro prima di addormentarsi.

Conosco poeti che santificherei subito per come sanno dare un senso anche ad una sfera.

Ma qual è il risultato?

Nessunissimo dinnanzi a un altro modo di intendere lo sguardo sul mondo. La  banalità da cui è cinta,  -la stessa di chi si sente escluso dai giochi e se ne fa una ragione- è pari solo all’ arroganza con cui per molto tempo quest’ultima ha proceduto sulla via della salvezza dell’umanità attraverso la scienza, la politica e consorelle  e adesso invece si è mutata in quella che dice:

-Ho scherzato ma adesso si fa sul serio, si prende a scopo soltanto la potenza per diventare sempre più potente.

In fondo c’è Matrix. Dunque cos’è l’uomo? Una pila.

Ma si può scoprire il piacere  di giocare a scacchi anche senza una soluzione su cui contare, estraendo piacere dal Nulla di un risvolto dei pantaloni di Prufrock:

“Divento vecchio… divento vecchio…

Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.”*

Questo sì che mi interessa perché diventando vecchi sento di rimpicciolire sempre di più e ciò mi sembra oltremodo desiderabile almeno quanto non aver mai cercato successo e fama. Almeno dal mio punto di vista. Chissà che non sia la cabina telefonica giusta attaccata al filo di speranza che separa dal pessimismo. D’altro canto penso di riuscire per Maggio a realizzare alcune cosette di cui vado fiero, intanto che la matematica insegue il mondo nel tentativo di dominarne il moto.

  • *T.S.Eliot

EBOLA

EBOLA

 

Liquidare l’uomo. La contabilità delle angosce sul treno

Persino l’Africa diventò America e nell’infiorescenza il voodoo.

 

Tutto scorre perché un virus abolì la complessità degli organi

Bisognava ricostruire Berlino su un’idea di Tito 70 d.C.. Quali differenze?

 

Mettere un capriolo al posto di una mela

Invece dell’albero della conoscenza il gruppo sanguigno.

 

Una schiuma antropomorfa divenne simbolo di intelligenza

Il chopper in mano a un broker vendicava Abele.

 

Salì sul palco la campagna d’Italia.

Due o tre australopitechi al posto  di  Napoleone.

 

Un trasfigurare Austerlitz e diventare marzo 2020.

Dinnanzi ai popoli la mitraglia da cui discese l’ossidiana.

 

In un angolo della savana la termite accumulò membrane

in salvo la discendenza dei fosfolipidi.

 

I Dna invece giacevano a distanza

sapevano di pesce marcio, ancora infetti.

 

Non se ne sarebbe fatto niente senza un’idea volgare.

Al figlio magro l’esilio del fiume.

 

La mano andò alle generazioni passate.

L’occasione di ricostruire il canino da latte.

 

Non si era  tentato Dio?

 

Intorno al tavolo dei Gentili rimase poca entropia

qualche miliardo di ossa ancora da liquefare.

 

Bastava chiedere aiuto,

ma nessuno se la sentì di pagare il conto.

 

Si trattava di stabilire una distanza.

Capire l’asintoto sull’inorganico.

 

Nei test c’è sempre qualcuno più intelligente

e Tiresia che vede nel buio.

 

Uno iato divide dal Sapiens Sapiens.

Una rete nella penombra di chissà chi.

 

CONTAVA I PROTONI

Il piacere fondamentale deve qualcosa alla simmetria
chi non capisce un asse rotante omette il mondo.
L’aria si fa meschina talvolta si gonfia per piangere e non tollera
Il ritorno sui passi, così lascia all’autunno gli occhi
Che diventi allume la spiga
Il ritmo letterario ritorni nella domus aurea.
Solo perché una regola prevede l’indice
Sia detto il significato dopo il significante.
Senza mai nominarlo ma contando a protoni
Hegel inventa il Tempo.
Contare è creare.
Nessun prussiano in giro, nè guerre
tolleranza zero. Aspergersi invece di cenere.
Due protoni non sono uno, così pensa il Sole
L’ immaginavi alla conta sulle dita?
Alle fronde dei salici lasciammo Quasimodo
Noi cercatori d’oro, invisi al canto del gallo.
Marmitte lavorano per noi,
Migliorano l’aspetto dei cadaveri
e scendono con dignità da scale lombarde
Monatto non t’avvicinare a Cecilia.
Il verso di sei protoni creò la chimica organica.
Meglio sarebbe stato lasciare uno iato o drogarlo di Litio.
Tra galassie fu accolto come idea balzana
Dentro s’impastava carne e vuoto. Gli Dei risero.
Ancora una volta il Sole raccontava barzellette
Era l’idiota che non si accorgeva delle circostanze.
Tieni stretti i tuoi protoni
Piuttosto che creare possibili uomini.
Inventa schiuma da barba per Giove
Che storia è se il creato si mette a creare?
Le leggi della statica sono buone per la volta a botte
Costruisci grattacieli e sosterrai l’equilibrio tra quasar.
Ti sia dato anche l’anello del Cern,
L’epoca delle postfazioni.
Ma inventa qualcosa che scorra dentro
e non sia l’immagine che è.
La possibilità di carne umana è spavento
assenza d’assi, specchi e centri.
Come gira l’universo? ci darà piacere il verso
o sarà un inutile oziare di dei?
La coscienza ha un balzo di novantadue piani
La tavola di Hegel era incompleta. Semplice!
Non mangiavano  Transuranici allo stesso tavolo
si era presi da una frenesia di apostoli allo sbando.
Che s’è fatto dunque a nutrire l’essenza?
L’istante è il sollecito della Legge.
C’è un obbligo alla fine un altro all’inizio
corda che vibra e cambia di tono.
Pagare per questo teatro del piacere?
come a Yalta
in Tempo e cianuro per le cecilie
nel bunker di Berlino?
Scopri lo specchio se ne hai memoria
o ferma l’asse che gira. Il Tempo se c’è.

INFER||IATE

INFER

RIATE

 

Salme:

 

Si muovono navi verdi. Di olio la pioggia

Donne irriducibili alle inferriate.

 

Un punteruolo rosso in ceppi. Due proconsoli di Cesare.

Socrate assorbito dalle cicute.

 

vendono palme a Barabba

La banda delle cinque fa a meno degli orologi, borghesi per giunta.

 

Il tempo lo è.

La legge invece è capitalista.

 

Una centuria  suggerisce a degli ulivi di far largo alla xylella.

dal Salento  a Gerusalemme.

 

Le successioni sanno di catena alimentare

dov’è Gesù?

 

Dio è morto

Io è morto.

 

Un pianoforte perde i denti. Musica di Schubert nelle vie di Bari.

Negli uffici stampano registri in codice binario.

 

Faber. L’asino, il muro del ‘61

sulla via del mare omaggiano la carovana del re.

 

Giuda in su.

Il Duce in giù.

 

SQUILIBRI

Amate le caffettiere
E lasciate perdere il poeta

Meglio il rogo d’ alluminio
Che l’inaffidabilità

Grande il cuore di metallo
il borbottare silenzioso

v’inebri la canna fumaria
la piccola industria del profumo

non
il poeta

tra i folli amate il trapezista
il Dio che sta nel suo piede

a volte il cancro
si afferra alle ginocchia

nega al colombo
le vie d’ equilibrio

in tutto ciò amate
il confine

non i poeti

il culo triste
ai trionfi

MATTINATA DI GUERRA (2013)

Gazze sui muretti
tra le zolle
sull’asfalto
e dai tetti
un tracimare immobile
irreale
scuro

Perfino il cielo era buio ma a guardarlo bene
si capiva ch’erano rondini
su e giù
implacabili dure
veloci
nel partire dalle acacie

Era lì
che si compiva maggiormente la vendetta
nidi violati
uova maciullate
intrecci di rami sparsi in aria
qualcuna invece bivaccava goffamente
sopra i corpi senza vita
beccando qua e là per finire l’opera

C’era stata una battaglia
evidente
unica e ultima come talvolta accade
noi o voi si disse
chi contava sulla forza e la tradizione
chi sulla sorpresa e la rapidità del volo

Basta coi soprusi dunque
alla violenza sulle rondinelle
alla derisione continua
per le strade
le campagne

Tutto ciò era appena finito e dai campi
nemmeno un cenno a questo stravolgimento
ognuno stava col suo lamento
di stelo reciso
ripiegato
nel dolore di chi non c’entra niente

Persino il contadino pensava ad una pestilenza
o che in fondo se l’erano cercata
e continuava ad arare rivoltando corpi e terra

Al resto avrebbero pensato formiche
e vermi sottostanti.

(Francesco Paolo Intini)